Evangelii Gaudium: il commento di Mons. Fisichella - primo capitolo

Il primo capitolo, quindi, si sviluppa alla luce della riforma in chiave missionaria della Chiesa, chiamata ad “uscire” da se stessa per incontrare gli altri. È la “dinamica dell’esodo e del dono dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre” (21), ciò che il Papa esprime in queste pagine. La Chiesa che deve fare sua “l’intimità di Gesù che è un’intimità itinerante” (23). Il Papa, come ormai siamo abituati, indugia in espressioni ad effetto e crea neologismi per far cogliere la natura stessa dell’azione evangelizzatrice. Tra tutte, quella di “primerear”; cioè Dio ci precede nell’amore indicando alla Chiesa il cammino da seguire. Essa non si trova in un vicolo cieco, ma ripercorre le orme stesse di Cristo (cfr 1 Pt 2,21); pertanto, ha certezza del cammino da compiere. Questo non le fa paura, sa che deve “andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un inesauribile desiderio di offrire misericordia” (24). Perché questo avvenga, Papa Francesco ripropone con forza la richiesta della “conversione pastorale”. Ciò significa, passare da una visione burocratica, statica e amministrativa della pastorale a una prospettiva missionaria; anzi, una pastorale in stato permanente di evangelizzazione (25). Come, infatti, ci sono strutture che facilitano e sostengono la pastorale missionaria, purtroppo “ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore” (26). La presenza di prassi pastorali stantie e rancide obbliga, quindi, all’audacia di essere creativi per ripensare l’evangelizzazione. In questo senso afferma il Papa: “Un’individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia” (33).
È necessario, pertanto, “concentrarsi sull’essenziale” (35) e sapere che solo una dimensione sistematica, cioè unitaria, progressiva e proporzionata della fede può essere di vero aiuto. Ciò comporta per la Chiesa la capacità di evidenziare la “gerarchia delle verità” e il suo adeguato riferimento con il cuore del Vangelo (37-39). Ciò evita di cadere nel pericolo di una presentazione della fede fatta solo alla luce di alcune questioni morali come se queste prescindessero dal loro rapporto con la centralità dell’amore. Fuori da questa prospettiva, “l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo” (39). C’è un forte richiamo del Papa, quindi, perché si giunga a un sano equilibrio tra il contenuto della fede e il linguaggio che lo esprime. Può accadere, a volte, che la rigidità con cui si intende conservare la precisione del linguaggio, vada a danno del contenuto, compromettendo la visione genuina della fede (41).

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